Cornovaglia: breve storia di un calcio inglese a parte

Quello della Cornovaglia sembra un calcio a sé, parte di un mondo antico fuso nella modernità del calcio inglese

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Alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90 la lingua della Cornovaglia sembrava perduta, definita da taluni una pratica barbara e fortunatamente quasi scomparsa, un po’ come la pirateria e il contrabbando. Ora riceve finanziamenti governativi per essere insegnata nelle scuole e appare sui cartelli bilingue di “confine”, sui negozi, e sui segnali stradali. Insomma, ecco rispolverato il vecchio motto “Onen hag oll” (dal cornico: Uno e Tutti) sputato in faccia ai passanti sui muri di Bodmin, la capitale storica di quest’appendice di terra protesa a cercare altro.

Cornovaglia: quella coda d’Inghilterra

La cultura cornica è molto diversa da quella tradizionale inglese, basa le proprie radici su un diffuso celtismo: la lingua locale, il “Kernowek“, è infatti molto simile al gallese e al bretone. Quest’aria si respira camminando per le varie cittadine. Da St. Ives a Longrock, oltrepassando chiese solitarie annerite dagli anni e avvinghiate dall’edera, dove l’eco di qualche mugghio pare allucinatorio, perché non si capisce come diavolo una vacca possa farvi colazione se non brucando le corde della propria campana.

Il verde infatti si trova più internamente, ossia laddove si accovacciano fattorie cintate, la cui unica voce è quella di modesti maialetti nerastri in perpetuo conciliabolo. Scarpate di pietrame si sgretolano su creste dove stormiscono uccelli e gridano gabbiani. Aspersioni di birra e tipi rubizzi, fra santi inauditi, adorni di nomi celtici che Roma si rifiutò sempre di masticare. D’altra parte la Cornovaglia sprofonda nel suo mare, come fosse uno spicchio d’Irlanda cucito in coda all’Inghilterra, un gran capriccio culturale e etnico. Gli inglesi naturalmente ci posero i loro scarponi ferrati, tentarono di scuoterla, di materializzarla, di renderla fattiva, dai Tudor all’ultima Elisabetta. Non ottennero mai niente e hanno finito per ignorarla alla stregua di una cenerentola qualsiasi. Non è un caso che fu l’ultima contea in cui la ferrovia decise ad avventurarsi. É un paese di sognatori puri, di visionari impenitenti, di gente orgogliosa.

L’orgoglio delle squadre della Cornovaglia

Nel 1889 nelle stanze del “Royal Hotel” di Truro nacque la Cornwall FA uno degli enti che controlla il calcio nella contea. L’associazione possiede anche una propria rappresentativa per le partite internazionali, (gestita della Kenrow FA) ed ha sbattagliato spesso con isolette tipo Guernsey, Jersey e Man o in tornei più o meno ufficiali. Il resto è un amalgama raccolto nella piramide intorno agli ultimi tre livelli. Il Truro City resta in ogni caso il club che di più ha impresso il suo nome nel calcio cornico diventando la seconda squadra della Cornovaglia a raggiungere il primo turno nella FA Cup del 2007, 48 anni dopo al Falmouth Town.

E nella stessa stagione arrivò la vittoria del FA Vase, nella finale giocata a Wembley contro il Totton di fronte a 35.000 spettatori. Poi, sbirciando, possiamo trovare il San Blazey, il Penzance, il Bodmin, il Sant’Austell, il Newquay, ed altri frammenti di un piccolo mondo antico, rannicchiati intorno al cosiddetto “Land’s End Landmark”, la fine del mondo, punta d’imbuto ciottolosa e aspra, bagnata dall’oceano che pare risucchiare boschi di querce orlati di brughiere, fra questo strano scetticismo verso ciò che giunge da fuori.


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